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Le mura di Volterra a Fornelli ...
quello che la pioggia del 30 gennaio 2014 non ha fatto franare

Chi ama Volterra, lo fa perché comprende che questa è una città singolare, unica. Non ne esiste al mondo una uguale, né si trovano in Toscana cittadini simili ai volterrani, solitari, poco disposti al compromesso con chi vive al di fuori, e orgogliosi di essere tali.
Difficile spiegarne il perché se non proprio in questa sua unicità che è data dalla sua posizione e dalla storia.
Il suo commediografo Giovanni Villifranchi (m. 1614) scrisse che era al centro delle città della Toscana e queste le facevano corona. Così, al centro di una circonferenza, è debole e forte allo stesso tempo, poiché senza centro non esiste alcun cerchio.
Volterra non può competere con la globalizzazione, con il commercio su strada e su rotaia; ma ogni tanto il mondo si impoverisce e si ritira in se stesso, le strade vengono abbandonate e la torre di Babele crolla. Allora si salva chi vive isolato e autosufficiente, chi dispone di un giardino pensile e può contare su fontane, orti, case, pendici, castelli e poderi.
Volterra sembra ai più una città dimenticata, nessuno ne parla, ma quando qualcosa la colpisce tutti si volgono e si dolgono come se si fosse perduta una cosa propria. Ci vuol poco a esser profeti: un giorno, quando sarà ancor più dimenticata, risorgerà nuova e potente lucumonia e dominerà ancora una volta le sue colline e il mare.
Difficile è anche far scivolar via la pioggia del 30 gennaio 2014, la stessa che ha fatto franare parte delle sue mura antiche, quelle che vanno dalla porta all’Arco a Porta San Felice. In mezzo l'assolata piazza dei Fornelli, con l' ipotetica torre degli Auguri descritta dagli scrittori antichi e con bel concreto palazzo degli ospedalieri di Sant’Iacopo d’Altopascio. Sulle sue mura era apposto il segno del tau, e una lapide ricorda che nel 1299 ebbe come rettore tale Ranuccio de Casanova.
Un secolo e mezzo più tardi si trovavano a Fornelli modesti edifici, vigne e orti degli artigiani della contrada che qui faceva capo: quella di Borgo Santa Maria, la più popolata e laboriosa della città. Ospitava pochi palazzi di nobili e molte case di conciatori, calzolai, fabbri e altri.
Il puntiglioso notaio del catasto descrisse anche casette di servizio, vigne, casalini rovinati; e pure una pergola attaccata al muro rovinata dai soldati fiorentini schierati all’assedio alla città poche settimane prima dell’assassinio di Giusto Landini. Vi cercavano forse dell’uva, a ottobre novembre.
Un intreccio di vie: questa è anche la zona detta del Labirinto. Un’immagine della Madonna decora la casa che fa cantonata con via della Porta all’Arco.
Nel viaggio degli artigiani su questa via secondaria si pensava una preghiera e si guardavano le colline della Val di Cecina. Volterra era il glorioso avamposto di una sorveglianza sui regni non visibili: da una parte uno sconfinato meridione che annega nel mare, dall’altra la Val d’Era e lontano gli Appennini e dietro ad essi i fertili domini padani e le foreste nebbiose d’Europa.

Paola Ircani Menichini - 4 febbraio 2014